Per la vita aliena non basta la Zona Abitabile

Un nuovo studio propone un approccio "computazionale" per queste ricerche

la vita è favorita da una sommatoria di condizioni che non possono essere ricondotte alla sola abitabilità di un pianeta. (ESO)

Dicono che Enrico Fermi riuscisse a fare e pensare più cose contemporaneamente. Durante una conversazione su tutt’altro argomento, a un certo punto esclamò: “Se l’Universo è talmente grande da brulicare di alieni, allora dove sono tutti quanti? Perché non siamo ancora riusciti a vederli, sentirli, ed entrare in contatto con loro?”

Domanda inquietante ed è ora nota alla Scienza come Paradosso di Fermi. Le soluzioni sarebbero decine ma se non ne abbiamo una univoca, è per la nostra sostanziale ignoranza del fenomeno vita.

Le zone abitabili

Nel volgere di pochi decenni è notevolmente cambiata la nostra prospettiva, ora con dati più solidi sul numero di pianeti e di potenziali ambienti ospitali. Anche lo stesso concetto di Zona Abitabile, vale a dire quella fascia intorno a una stella dove possiamo aspettarci condizioni che permettano l’esistenza di acqua liquida in superficie, è stato gradualmente riconsiderato. La scoperta di corpi celesti con possibili oceani interni di acqua sotto ghiacci superficiali, ha enormemente allargato il numero di ambienti potenzialmente ospitali per la vita simile alla nostra, anche lontano da una stella. Anzi, i mondi con oceani interni potrebbero non avere nemmeno bisogno di una stella, ma sostenersi grazie al calore interno prodotto dal decadimento di elementi radioattivi o dalle forze di marea con un oggetto sub stellare flottante.

Esempi di zone abitabili intorno a stelle di classe M, K e G e relativa abbondanza e vita media. (NASA)

In altri termini, il numero di mondi potenzialmente abitali è cresciuto a dismisura. Anche corpi celesti in apparenza bizzarri potrebbero ospitare vita aliena, sostenuta da processi lontani da quelli ritenuti convenzionali. La vita potrebbe essere ovunque, anche molto vicina a noi, e potremmo non accorgersi della sua presenza continuando a prendere come esempio il solo modello terrestre.

Ancora nessuna evidenza

Tuttavia c’è un elemento che non può essere trascurato: non abbiamo alcuna evidenza di altra vita intelligente. Se la vita fosse comune nell’Universo, l’intelligenza sarebbe un processo evolutivo ineluttabile e le civiltà tecnologiche sarebbero in gran numero anche nella nostra Galassia. Alcune avrebbero già intrapreso la colonizzazione e probabilmente raggiunto anche il nostro sistema solare. Di tali visite non vi è alcuna prova, checché ne dicano i sostenitori di certe teorie.

L’unico modo per scoprire la vita aliena è nell’esplorazione in situ nei mondi vicini più promettenti e attraverso l’osservazione con tecniche astronomiche. Da più parti si esorta, perciò, a essere pronti a qualsiasi possibilità, cercando la vita anche dove non ci si aspetti di trovarla e operando fuori dagli schemi. Dobbiamo cominciare a pensare che le intelligenze aliene, se esistono, potrebbero usare mezzi e metodi di sostentamento enormemente distanti da come noi intendiamo. La nostra rozza tecnologia, vecchia di pochi secoli, sarebbe nulla al confronto di enormi colonie biomeccaniche in grado di auto-sostenersi, attingendo risorse ed energia anche nello spazio interstellare.

Intelligenze non biologiche

L’intelligenza potrebbe anche essere di tipo non biologico, cioè macchine intelligenti in grado di alimentarsi dall’ambiente, imparare, mantenersi e replicarsi. La loro logica sarebbe diametralmente opposta alla nostra. Per intelligenze come queste, il tempo non avrebbe un vero significato e potrebbero vagare indefinitamente nella Galassia senza mai avvicinarsi troppo a una stella.

Immagine di fantasia di una ipotetica intelligenza non biologica. (CC0)

Se non registriamo la presenza di vita e tecnologie aliene può anche essere una questione di metodo di ricerca. Secondo un interessante studio, pubblicato sulla piattaforma di preprint arXiv.org, Caleb Scharf (NASA Ames Research Center) e Olaf Witkowski propongono un approccio differente, solo in parte nuovo, al più tradizionale concetto di abitabilità che, come abbiamo detto, può estendersi ben oltre la Zona Abitabile.

Un nuovo approccio

Secondo i due autori, la ricerca di vita deve considerare gli aspetti quantitativi che qualitativi o, come dicono, computazionali. L’attenzione deve essere spostata verso i processi che favoriscono la vita e verso quegli ambienti in cui gli elementi che la possono favorire sono maggiormente presenti sia in termini fisici e chimici. Tali ambienti sarebbero statisticamente più probabili di una qualsiasi zona abitabile astrofisica o geofisica. Un modo per definire la vita stessa è come un insieme di calcoli che agiscono sulle informazioni.

Di solito per superare il concetto di zona abitabile sono stati anche considerati parametri come la disponibilità energetica e di nutrienti, tuttavia il calcolo (inteso come manipolazione sistematica delle informazioni codificate in stati fisici e regole), secondo gli autori, offrirebbe una generalizzazione per stabilire le stime della possibilità di vita, l’occupazione degli ambienti e i vincoli energetici al suo sostegno.

Una scena del film Arrival, un film diretto da Denis Villleneuve (USA, 2016). La pellicola descrive molto bene le difficoltà di comunicazione iniziale tra due intelligenze completamente differenti.

Le Zone Computazionali

Le Zone Computazionali riuniscono fattori di abitabilità tradizionali, compresi quelli associati alla funzione biologica, l’ambiente chimico, i vincoli sui nutrienti e l’energia libera, nonché la disponibilità degli elementi. Nello specifico, lo studio è concentrato su tre fattori limitanti semplificanti per il calcolo: capacità, energia e stanziamento o substrato. Per confronto, la classica Zona Abitabile orbitale è tipicamente stabilita mediante il flusso di energia e le proprietà planetarie legate solo ad alcune delle esigenze della vita come la conosciamo.

Il nuovo approccio considera invece la capacità per un ambiente di favorire reazioni chimiche e quant’altro utile ai processi biologici per unità di tempo. Questo dipende dalle condizioni fisiche presenti come la temperatura e densità, a prescindere dalla quantità. In altri termini, un corpo celeste può essere ricco chimicamente ma non avere l’energia per attivare le complesse e veloci reazioni che ci aspettiamo da una forma di vita.

Anche per le firme tecnologiche

Questo approccio è abbastanza differente da quello seguito nella ricerca di zone abitabili circumstellari sull’acqua liquida o sui tassi metabolici.  Almeno per la biologia terrestre, è probabile che entrambe le cose siano presenti simultaneamente, cioè abitabilità orbitale e computazionale. Un passo in avanti per tale approccio sarà stabilire la gerarchia dei vari processi, computazionali e non, equiparabili ai sistemi viventi e come il flusso di energia sia ripartito in essi.

Lo stesso approccio può essere seguito anche nella ricerca di vita intelligente attraverso firme tecnologiche riconducibili a strutture come le sfere di Dyson. Il metodo computazionale fornisce un criterio per identificare evidenze di ottimizzazione nell’efficienza termodinamica di eventuali sistemi anche intorno ad oggetti substellari. Secondo gli autori andrebbero identificate sorgenti puntiformi nel lontano infrarosso (tra 50 e 100 micron) senza controparti ottiche. Sebbene questo sia solo ipotetico, offre un’introduzione utile e complementare alle zone computazionali. Tali sorgenti sarebbero nelle attuali possibilità di osservazione.

Iscriviti alla newsletter

Email: accetto non accetto
Informazioni su Giuseppe Donatiello 351 Articoli
Nato nel 1967, astrofilo da sempre. Interessato a tutti gli aspetti dell'astronomia, ha maturato una predilezione per il deep-sky, in particolare verso i temi riguardanti il Gruppo Locale e l'Universo Locale. Partecipa allo studio dei flussi stellari in galassie simili alla Via Lattea mediante tecniche di deep-imaging. Ha scoperto sei galassie nane vicine: Donatiello I (2016), Donatiello II, III e IV nel sistema di NGC 253 (2020), Pisces VII (2020) e Pegasus V (2021) nel sistema di M31. Astrofotografo e autore di centinaia di articoli, alcuni con revisione paritaria.