Perché i buchi neri brillano?

La rete di telescopi Atlas della Nasa ha studiato 5000 buchi neri supermassicci

I buchi neri sono stelle estremamente compatte, o meglio, ciò che ne rimane, la cui densità è talmente grande che riescono a piegare l’intelaiatura dello spazio-tempo attorno a loro a tal punto che nulla che cada all’interno del loro orizzonte degli eventi riesce a sfuggire. Nemmeno la luce.

L’unico modo per vederli è quello di osservarli mentre stanno divorando qualche oggetto celeste. Il gas e le stelle che questi vuoti galattici fagocitano, infatti, si dispongono in un disco incandescente prima di venire definitivamente risucchiati all’interno del loro baratro nero. E l’ultimo bagliore di questi oggetti può brillare più intensamente di intere galassie. La luminosità di questi dischi può anche fluttuare nel tempo, scintillando regolarmente per giorni interi.

Una analisi compiuta su più di 5000 buchi neri super massicci è riuscita a dare una risposta a questo strano fenomeno, dovuto a turbolenze guidate dall’attrito e da intensi campi gravitazionali e magnetici. Fenomeni descritti dalla teoria nota come “instabilità magneto-rotazionale“.

Questa analisi è stata ottenuta grazie ai dati raccolti dalla rete di telescopi Atlas (Asteroid Terrestrial-impact Last Alert System) della Nasa, dedicata alla sorveglianza asteroidale, come “effetto collaterale” della sua attività.

Giganteschi mangiatori di stelle

I buchi neri super massicci sono oggetti celesti che possono raggiungere una massa di milioni o miliardi di masse solari. La Via Lattea ne ha uno proprio nel centro, con una massa pari a 4 milioni di masse solari, attorno al quale orbitano circa 200 miliardi di stelle, fra cui il nostro Sole.

Nell’universo però, avvengono spesso eventi che perturbano la ciclica quiete. Per esempio, quando due galassie si attraggono vicendevolmente a causa della loro gravità, le stelle che vi appartengono possono venire sballottate e trascinate pericolosamente verso il buco nero all’interno di una di esse. Quando accade, spesso, vengono fatte a pezzi e inesorabilmente divorate.

Probabilmente anche la Via Lattea ha subito un processo simile, in passato. I buchi neri si nutrono fagocitando tutto quello che gli capita a tiro. Alcuni in modo lento e delicato, spesso risucchiando le nubi di gas soffiate fuori dalle stelle, altri sbranando materia al ritmo di una massa solare ogni 48 ore.

E quello che mangiano viene sfilacciato, distribuendosi prima nel loro disco di accrescimento. Dal momento che la maggior parte dei buchi neri più voraci sono molto lontani da noi, non è possibile vedere alcun dettaglio del disco.

Tuttavia, ogni tanto, un bagliore più potente permette di vedere il disco e i cambiamenti quotidiani di luminosità causati dal vortice incandescente che gorgoglia all’interno di esso. E questo scintillio ci racconta la loro storia.

Ordinando i 5000 buchi neri analizzati per dimensione, luminosità e colore, è stato possibile determinare la velocità orbitale di ciascun disco e, una volta impostato l’orologio per funzionare alla velocità del disco, capire in che modo avveniva lo sfarfallio di questi dischi.

Infatti, i campi magnetici che essi sviluppano possono causare turbolenze regolari all’intero dei dischi. Secondo lo studio, i dischi più grandi orbiterebbero più lentamente con un luccichio lento, mentre le orbite più strette e veloci nei dischi più piccoli brillerebbero più rapidamente.

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