L’intelligenza artificiale per la ricerca della vita

Il deep learning applicato ai dati provenienti dal Green Bank Telescope

Un articolo pubblicato sulla rivista Nature Astronomy e firmato dal team di Breakthrough Lister, il più grande programma di ricerca esistente dedicato alla ricerca di civiltà aliene, è stato presentato un nuovo metodo basato sul deep learning applicato a più di 480 ore di dati provenienti dal radiotelescopio Robert C. Byrd Green Bank Telescope relative all’osservazione di 820 stelle vicine. I frammenti di dati analizzati erano tanti, circa 115 milioni. DI questi, l’intelligenza artificiale deputata a scovare tracce di vita ha isolato circa tre milioni di segnali di interesse. Ispezionando manualmente, una seconda scrematura ha identificato 20.515 segnali, otto dei quali non erano stati rilevati in precedenza. Questi segnali, non essendo ripetibili, non sono stati successivamente rilevati.

Cercare segni di vita nell’immenso Universo è un po’ come cercare un ago in un pagliaio. A questo si somma il fatto che le interferenze dovute ai nostri dispositivi rendono la ricerca veramente complicata. La stragrande maggioranza dei segnali rilevati dai telescopi, infatti, proviene dalla tecnologia terrestre come satelliti GPS, telefoni cellulari e simili. L’algoritmo analizzato in questo studio permette di filtrare i segnali e discriminare quelli terrestri da quelli no, oltre a ricercare segnali che hanno le caratteristiche che ci si aspetta dalle firme tecnologiche.

Gli algoritmi attualmente in vigore confrontano le scansioni effettuate puntando il telescopio in direzione di un target nel cielo con le scansioni effettuate puntando il telescopio in una posizione vicina, al fine di identificare i segnali che potrebbero provenire solo da quel punto specifico nello spazio.

In questo modo è stato possibile identificare oggetti lontani artificiali come la sonda spaziale Voyager 1, oggi a una distanza di 20 miliardi di km. Tuttavia, la banda radio, dove operano gli algoritmi, è una regione spettrale estremamente affollata di segnali artificiali terrestri. Un po’ come ascoltare sussurri all’interno di una stanza molto affollata.

Il passo in avanti consiste nell’inserire segnali simulati all’interno dei dati reali e addestrare un algoritmo di intelligenza artificiale (auto-encoder) per apprendere le loro proprietà fondamentali.

Quello che esce da questo processo viene poi inserito in un secondo algoritmo in grado di distinguere e classificare i segnali candidati separandoli dal fondo rumoroso. In radioastronomia si definisce “rumore” l’insieme dei segnali che sono prodotti da interferenze e non appartengono al segnale che si vuole indentificare.

Già nel 2021, una prima versione di questo algoritmo fu in grado di identificare un segnale di interesse, indicato con BLC1, all’interno dei dati del telescopio Parkes. Tuttavia, per essere confermato, un esperimento deve essere riproducibile; inoltre, un valore atteso, deve poter essere trovato nuovamente. In questo caso, tuttavia, i segnali non sono riapparsi.

Che fossero segnali transienti e non ripetitivi non è dato di sapere. Tuttavia, l’applicazione di queste tecniche su larga scala è un enorme incremento delle potenzialità della radioastronomia e, in futuro, permetterà di identificare in modo più efficace eventuali tecnofirme e, se si è fortunati, anche di confermarle.

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