Una stella gigante

ripresa dal gemini south la stella R136a1, la più massiccia conosciuta nell'Universo

Un ammasso di stelle massicce visto con il telescopio spaziale Hubble. L'ammasso è circondato da nubi di gas interstellare e polvere chiamate nebulose. La nebulosa, situata a 20000 anni luce di distanza nella costellazione della Carena, contiene l'ammasso centrale di stelle enormi e calde, chiamato NGC 3603. Recenti ricerche dimostrano che i raggi cosmici galattici che fluiscono nel nostro sistema solare hanno origine in ammassi come questi. Crediti: NASA / U. Virginia / INAF, Bologna, Italia / USRA / Ames / STScI / AURA

La ricerca dei mastodonti dell’Universo continua. Sfruttando le capacità del telescopio Gemini South da 8,1 metri in Cile, che fa parte dell’International Gemini Observatory gestito dal NOIRLab di NSF, gli astronomi sono stati in grado di ottenere l’immagine più nitida di sempre della stella R136a1, la più massiccia conosciuta nell’Universo.

Stelle di questo tipo in genere dimorano nei cuori densamente popolati di ammassi stellari avvolti dalla polvere; quindi, non è semplice comprendere appieno come si formano queste stelle così massicce, con masse più di 100 volte quella del Sole. Tali stelle vivono velocemente e muoiono giovani, bruciando le loro riserve di carburante in pochi milioni di anni. In confronto, il nostro Sole è a meno di metà della sua durata di vita di 10 miliardi di anni. Questa stella fonde idrogeno in elio al suo interno tramite il ciclo del carbonio-azoto ed ha una temperatura superficiale di oltre 50mila kelvin.

Durante la combustione dell’elio, carbonio e ossigeno si accumulano nel nucleo e la rilevante perdita di massa continua. Questa stella ha perso tramite un intenso vento stellare che raggiunge la velocità di circa 2600 km/s, una buona frazione della massa che possedeva appena dopo essersi formata. Si stima che la stella avesse in quel momento una massa di almeno 250 masse solari e che ne abbia perse 35 da quando si è formata. Lo strumento Zorro installato sul telescopio Gemini South dell’International Gemini Observatory, gestito dal NOIRLab di NSF, di ha donato questa chicca. R136a1, come vi dicevo, è la stella più massiccia conosciuta e appartiene all’ammasso stellare R136, che si trova a circa 160mila anni luce dalla Terra al centro della Nebulosa Tarantola nella Grande Nube di Magellano, una galassia nana compagna della Via Lattea.

Questa immagine mostra l’eccezionale nitidezza e chiarezza dell’imager Zorro sul telescopio Gemini South da 8,1 metri in Cile (a sinistra) rispetto a un’immagine precedente scattata con il telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA (a destra). La nuova immagine ha permesso agli astronomi di distinguere la stella R136a1 dalle sue vicine compagne stellari.

Le osservazioni ci dicono che la sua massa è compresa fra 170 e 230 volte quella del Sole. Per stimare la massa di una stella, in astronomia si confrontano la luminosità e la temperatura osservate con le previsioni teoriche. Questo dato in passato era stato stimato essere maggiore, fra 200 e 250 masse solare. Il fatto che sia stata trovata una massa inferiore ha fornito implicazioni sull’origine di elementi più pesanti dell’elio nell’Universo. Questi elementi infatti vengono creati durante la morte esplosiva delle stelle molto massicce, quelle che hanno una massa maggiore di 150 volte quella del Sole e vengono prodotti durante gli eventi che gli astronomi chiamano supernove con instabilità di coppia.

Se R136a1 è meno massiccia di quanto si pensasse in precedenza, lo stesso potrebbe essere vero per altre stelle massicce e di conseguenza le supernove con instabilità della coppia potrebbero essere più rare del previsto.
Ma come è stato possibile raggiungere un dettaglio così alto nelle osservazioni di questa stella? E’ stato possibile utilizzando una tecnica nota come speckle imaging, che consente ai telescopi terrestri di superare gran parte dell’effetto di sfocatura introdotto dall’atmosfera terrestre. La tecnica consiste nel prendere molte migliaia di immagini con brevi tempi di esposizione di un oggetto luminoso ed elaborare successivamente i dati grezzi per contrastare le aberrazioni della luce. Questo approccio, assieme all’ottica adattiva, è in grado di aumentare notevolmente la risoluzione dei telescopi terrestri che, al contrario di quelli spaziali, sono affetti, appunto, dai problemi introdotti dall’atmosfera.

Marco Sergio Erculiani

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