L’instabilità all’inizio del Sistema Solare

Una nuova teoria risolve un mistero e non esclude un altro gigante gassoso

Raffigurazione artistica del giovane Sistema Solare con i pianeti posti all'interno in una regione povera di gas e polveri, spazzate via dal giovane Sole. L'assenza di questo materiale influenzerebbe le orbite dei giganti gassosi. (NASA/JPL-Caltech/T. Pile)

Come hanno fatto i giganti gassosi Giove, Saturno, Urano e Nettuno a trovarsi dove sono? Nel 2005, un team internazionale di scienziati propose un nuovo modello. Essendo stato originariamente presentato a Nizza, in Francia, è adesso noto come Modello di Nizza. Il modello presuppone che ci fosse nel giovane Sistema Solare un’instabilità tra i pianeti maggiori in balia di caotiche interazioni gravitazionali, sino a stabilizzarsi nelle orbite attuali.  

Pur rimanendo un modello ampiamente condiviso, i planetologi hanno trovato nuove domande in attesa di risposta.

Sappiamo che le stelle nascono all’interno delle nubi molecolari. Intorno ad esse si forma un disco di detriti e gas entro cui si sviluppano gli embrioni planetari. Inizialmente si pensava che i pianeti del Sistema Solare si fossero formati e rimasti dove sono adesso, su orbite regolari e ben spaziate, dopo un lungo processo di pulizia nella regione interna.

Una sequenza che illustra a grandi linee l’evoluzione del Sistema Solare secondo il Modello di Nizza.
a) La configurazione originaria, prima della risonanza Giove-Saturno.
b) Dispersione dei planetesimi dalla regione interna a seguito dello scambio orbitale tra Nettuno e Urano.
c) Dopo l’espulsione dei planetesimi da parte dei pianeti.

Ad esempio, si pensava che l’instabilità di Giove fosse avvenuta centinaia di milioni di anni dopo la dispersione del disco protoplanetario. Studi recenti, anche su campioni lunari riportati a terra dalle missioni Apollo, suggeriscono invece che tale processo sia stato più veloce. Tutto questo porta a riconsiderare lo svolgimento delle varie fasi che hanno portato alla formazione del nostro sistema planetario, così come lo vediamo adesso.

La nuova ipotesi

Un trio di studiosi, composto da Beibei Liu, Sean N. Raymond e Seth A. Jacobson, ha ora formulato una nuova teoria che potrebbe aiutare a comprendere meglio l’aspetto attuale del nostro sistema planetario, orbite dei pianeti giganti comprese.

La ricerca suggerisce inoltre come si siano formati i pianeti terrestri e indica pure la possibile presenza di un gigante gassoso distante circa 80 miliardi di chilometri.

Il Sistema Solare non ha sempre avuto l’aspetto di oggi. Nel corso della sua storia, le orbite dei pianeti sono cambiate radicalmente, e possiamo capire cosa sia successo. Penso che la nostra nuova idea potrebbe davvero allentare molte tensioni sul campo perché quella che abbiamo proposto è una risposta molto naturale a quando si è verificata l’instabilità del pianeta gigante.“, afferma Jacobson, commentando lo studio pubblicato su Nature [604, 643–646 (2022)]. Il team ha proposto un nuovo innesco della instabilità.

Lo studio mostra come i giganti gassosi possano essere stati immessi nelle orbite attuali secondo come sia evaporato il disco di gas primordiale. Ciò potrebbe spiegare perché i pianeti si siano distanziati molto prima di quanto ipotizzato nel Modello di Nizza e forse anche senza l’instabilità.

Ci siamo chiesti se il modello di Nizza fosse davvero necessario per spiegare il Sistema Solare. Ci è venuta l’idea che i pianeti giganti potessero espandersi per un effetto di ‘rimbalzo’ mentre il disco si dissipava, forse senza mai diventare instabile.“, spiega Raymond.  

La verifica con le simulazioni

Non restava che mettere alla prova l’idea con le simulazioni numeriche di dischi gassosi con grandi pianeti all’interno. Della cosa se n’è occupato Liu, dimostrando che la particolare disposizione delle orbite esibite dai giganti gassosi del nostro sistema planetario poteva essere risolta se il disco di gas si fosse dissipato dall’interno. Questo svuotamento dall’interno avrebbe fornito il fattore scatenante per l’instabilità nel Modello di Nizza, irrobustendone la valenza.

Anche con questo nuovo elemento, lo scenario di formazione è sostanzialmente invariato. In principio c’è una stella nascente con il suo disco protoplanetario. Alcuni embrioni di giganti gassosi ruotano all’interno in orbite ripulite, più vicini alla loro stella madre. All’avvio stabile delle reazioni, la stella genera radiazione che soffia via gas e polveri dall’interno verso l’esterno.

Questo ha creato una cavità centrata sulla stella in progressiva espansione.  Man mano che la cavità si espande, il suo bordo attraversa ciascuna delle orbite planetarie. Secondo le simulazioni, è tale transizione a produrre l’instabilità orbitale. Anche la migrazione delle orbite registra una maggiore rapidità rispetto a quanto previsto nell’originario modello.

E per il nostro Sole?

L’instabilità avviene presto quando il disco gassoso del Sole si è dissipato, entro 10 milioni di anni dopo la nascita del Sistema Solare“, afferma Liu.

Il materiale soffiato via finisce per mischiarsi con quello presente nel disco circumstellare più esterno. La geochimica della Terra indica che una tale mescolanza deve essere avvenuta quando il nostro pianeta era in piena fase di formazione. L’improvvisa assenza di materiale può averne bloccato l’accrescimento, ma la correlazione con l’instabilità deve essere meglio indagata.

Lo scenario proposto, comunque, offre un modello valido per la formazione di qualsiasi altro sistema planetario contenete pianeti giganti. Il Sistema Solare non sarebbe così atipico, come le osservazioni sembrano indicare, ma solo in una configurazione particolare dovuta all’instabilità nelle sue prime fasi.

Il nuovo modello non esclude l’esistenza del fantomatico Pianeta 9.

C’è posto anche per il Pianeta 9

Sebbene lo studio pubblicato non lo rimarchi, le simulazioni non escludono la presenza di un altro grande pianeta. Lo stesso Modello di Nizza funziona meglio quando viene postulata la presenza di cinque pianeti gassosi nel giovane Sistema Solare, ma uno di essi sarebbe stato espulso.

Nel 2015, però, un altro studio aveva dimostrato che tale oggetto poteva invece essere rimasto legato al Sole su un’orbita più ampia a circa 570 Unità astronomiche. Questo potenziale oggetto è stato già battezzato provvisoriamente Pianeta 9 ed è previsto sia dal modello sia dall’osservazione oggettiva di planetoidi con orbite eccentriche particolari, chiamati collettivamente sednoidi.

Poiché il nuovo modello riproduce correttamente l’evoluzione e l’attuale configurazione del Sistema Solare, funziona altrettanto correttamente con cinque giganti gassosi?

I risultati sembrano essere stati simili iniziando la simulazione con quattro o cinque pianeti. Ipotizzando cinque giganti gassosi la simulazione termina con quattro restanti. Iniziando con quattro, però, le orbite finali sembrano corrispondere meglio con quelle reali.

Nulla sembra escludere la presenza di questo controverso pianeta, ma se davvero esiste, la sua scoperta sarà solo questione di tempo.

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Informazioni su Giuseppe Donatiello 354 Articoli
Nato nel 1967, astrofilo da sempre. Interessato a tutti gli aspetti dell'astronomia, ha maturato una predilezione per il deep-sky, in particolare verso i temi riguardanti il Gruppo Locale e l'Universo Locale. Partecipa allo studio dei flussi stellari in galassie simili alla Via Lattea mediante tecniche di deep-imaging. Ha scoperto sei galassie nane vicine: Donatiello I (2016), Donatiello II, III e IV nel sistema di NGC 253 (2020), Pisces VII (2020) e Pegasus V (2021) nel sistema di M31. Astrofotografo e autore di centinaia di articoli, alcuni con revisione paritaria.