Ciao Tito. Buon viaggio

Il nostro saluto al "giornalista spaziale" per eccellenza

C’è un asteroide che porta il mio nome, e ne sono felice e orgoglioso. Ma mi sto studiando le caratteristiche, la traiettoria orbitale e il periodo. Devo conoscerne tutti dettagli, in fondo è il mio asteroide”.                                                                                                                                             

Tito Stagno era così. Ed è stata questa sua curiosità una delle caratteristiche su cui si è fondata la sua straordinaria carriera di giornalista, inviato e telecronista televisivo Rai, dal 1954 al 1994.

Deceduto nella notte tra il 31 gennaio e il 1° febbraio, Stagno aveva compiuto 92 anni lo scorso 4 gennaio. E, come di consueto, gli avevamo augurato un buon compleanno.  E avevamo parlato con la sua inseparabile Edda, che con Tito ha vissuto per quasi settant’anni. Nonostante l’età, e due polmoniti che lo avevano colpito una dietro l’altra poco prima del lockdown (“Non era Covid, altrimenti non sarei qui a parlarne”, ci disse) aveva ancora una impagabile voglia di vivere: “Sei sempre la solita roccia” – gli dicevamo. “Faccio il possibile. Tu piuttosto raccontami un po’ che succede nello spazio. Questo Elon Musk davvero vuole arrivare su Marte? Troppo complicato, ora. Io riproverei a tornare prima sulla Luna”, continuava. Ha avuto ancora ragione. 

Con Tito, in uno dei nostri lunghi colloqui telefonici, avevamo parlato anche in occasione della recente assegnazione del suo nome a un asteroide, un pianetino che orbita tra Marte e Giove (vedi Cosmo n. 19). Era stata l’occasione per intervistarlo per Cosmo, la nostra rivista, per la quale lui aveva un occhio e un’attenzione speciali. Al punto da inaugurarla, nel 2019 a Milano, durante un evento al planetario “Hoepli” insieme con molti altri ospiti e autorità spaziali. Era l’anno del 50esimo anniversario del primo sbarco umano sulla Luna, e ovviamente Tito era una celebrità, quasi come uno degli astronauti dell’Apollo. Cioè quelli che aveva conosciuto, soprattutto negli Stati Uniti, durante la sua vacanza premio di aggiornamento nell’estate 1966. Come Frank Borman, che lo battezzò “Mister Moonlight”, per via del ciuffo biondo che gli cadeva sulla fronte e del pezzo dei Beatles, che girava sul juke-box durante una serata trascorsa insieme. 

                                                                                                                                                           

 Quello dell’asteroide Tito Stagno è un riconoscimento meritato. Forse arrivato persino tardi, a 91 anni. Perché Tito è sempre stato il “giornalista spaziale” per  eccellenza; ha ispirato e appassionato generazioni di cronisti che si occupano di spazio. “Preferirei il termine telecronista spaziale” – ci diceva lui – “io ero quello delle telecronache, anche al buio. Cioè commentavo immagini che non arrivavano, oppure che arrivavano senza che nessuno ne sapesse qualcosa. Mentre Ruggero Orlando, per esempio, lui era un grandissimo commentatore, forse il migliore che abbia mai incontrato”.

Il rapporto di Tito con Cosmo e Bfc Space è proseguito per molti dei primi numeri della rivista, con una sua collaborazione da editorialista, con la rubrica “La voce della Luna”, con i suoi racconti e le sue testimonianze uniche della fase pionieristica dell’astronautica.

Nato a Cagliari il 4 gennaio 1930, mezzobusto tv negli anni 60 e 70, e poi fino al 1994 a capo dello sport per il Tg 1, Stagno si era appassionato alla vicenda dello Sputnik, lanciato nel 1957: “Me ne occupai io e da allora quel settore in ascesa divenne un po’ il mio”, raccontava. Definiva “leggenda” la storia del battibecco avuto con Orlando proprio durante la storica telecronaca dell’allunaggio. Tito è stato anche inviato speciale al seguito delle grandi personalità del Novecento e responsabile della Domenica sportiva, fino alla metà degli anni Novanta. Si è raccontato nell’autobiografia Mister Moonlight – Confessioni di un telecronista lunatico, scritta con Sergio Benoni, edita da Minimum Fax e definita “l’avventurosa biografia di un ragazzino della provincia italiana del dopoguerra, che passa i pomeriggi al cinema e che all’improvviso si trova catapultato sul palcoscenico della storia, e qui si gioca la vita”.

La Luna se la conquistò soprattutto con un episodio che spesso amava raccontare: “Fu in occasione del rientro della Gemini 10, nel luglio del 1966. Arrivarono immagini con un nero totale e non sapevo cosa dire. Ma ebbi coraggio e azzardai che quel puntino bianco, che poteva essere un granello di polvere, fosse il bersaglio Agena con il quale la Gemini di Young e Collins doveva attraccare. Sudavo freddo, nonostante la temperatura bollente, ma alla fine ebbi ragione e riuscii a cavarne una bella telecronaca.

Per premiarmi, i dirigenti Rai mi spedirono due mesi in Florida e a Houston, quindi in Alabama dove Wernher von Braun stava costruendo il razzo Saturno 5, il cui primo esemplare vidi sulla rampa a Cape Kennedy. Lì ho imparato e ho saputo tutto del grande programma Apollo”.

“Beninteso, erano molti in Rai a volere la Luna, ma l’opportunità toccò a me, perché già il 4 ottobre del 1957, mentre ero in radio in via del Babbuino, corsi a recuperare il dispaccio di agenzia che annunciava il lancio dello Sputnik, il primo satellite dell’Unione sovietica – e il primo in assoluto – ad andare in orbita.  Da allora non ho mai perso una tappa della space race”.

Tito lascia la moglie Edda, le due figlie Caterina e Brigida, i cui nomi vennero suggeriti da Papa Giovanni XXIII, con il quale ebbe un bel rapporto di amicizia professionale. Con loro, lascia tanti amici veri.

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