In genere, ci immaginiamo le “invasioni aliene” come sono state rappresentate in tanti film di fantascienza: esseri con una tecnologia superiore alla nostra, che vogliono conquistare la Terra per rubarne le risorse (di questo passo, possiamo stare tranquilli).
Ma in epoca di pandemia, i timori di invasione riguardano piuttosto i rischi di contaminazione batterica o virale, causate dal materiale di ritorno dalle missioni spaziali, molte delle quali dedicate proprio alla ricerca di vita aliena (in foto, il recupero della capsula della missione Hayabusa-2, contenente campioni dell’asteroide Ryugu).
Secondo Anthony Ricciardi, professore di invasion ecology alla McGill University (Canada), la probabilità che un organismo extraterrestre venga trasportato sulla Terra e si stabilisca qui è molto piccola, ma gli approcci alla biosicurezza devono essere migliorati per affrontare questi rischi.
È nata così la scienza dell’invasione biologica, che studia cause e conseguenze dell’introduzione di organismi al di fuori dei loro limiti naturali, con attenzione anche al ruolo degli esseri umani. Perché questo pericolo vale anche all’inverso: dobbiamo evitare di contaminare altri mondi con le “nostre” forme di vita.
Nelle “camere bianche” della Nasa, dove si preparano i veicoli spaziali, sono stati trovati microbi che resistono a tutti i sistemi disinfettanti. Le tecnologie di sequenziamento del Dna saranno utilizzate per identificare eventuali specie aliene, scartando quelle che potrebbero essere state introdotte su altri pianeti durante precedenti missioni spaziali.