Cercare la vita inseguendo l’ossigeno

È un gas biomarcatore ma può avere origine naturale

La tecnologia per analizzare gli esopianeti di taglia terrestre sta progressivamente maturando e tra qualche anno, gli astronomi saranno in grado di analizzarne in dettaglio la composizione chimica. Con i telescopi della prossima generazione, sensibili a un’ampia gamma di lunghezze d’onda, sarà possibile indagare pianeti di taglia terrestre alla ricerca di segnali riconducibili alla presenza di vita negli spettri delle loro atmosfere tra una vasta gamma di righe molecolari.

Per identificare la vita con caratteri simili a quella terrestre, gli astronomi stanno selezionando una lista di forti biomarcatori, cioè molecole quanto più esclusive dell’attività biologica e con scarsa possibilità che siano prodotte in altri processi chimico-fisici. I biormarcatori forti dovranno coesistere insieme con altre molecole legate all’attività biologica, con un ruolo preminente rivestito dall’ossigeno molecolare. Qui sulla Terra, l’ossigeno che respiriamo è di origine biologica ed è stato prodotto dai cianobatteri (alghe azzurre) durante i primi due miliardi di anni dalla comparsa della vita. La riga spettrale dell’ossigeno, pur essendo un potenziale segno di presenza di vita, può avere altresì un’origine non biologica quindi la sua rivelazione potrebbe rappresentare un “falso positivo”.

Se conoscere i forti biomarcatori è decisivo, altrettanto gli studiosi devono essere in grado di riconoscere i falsi positivi e un nuovo studio – guidato da Joshua Krissansen-Totton, Sagan Fellow nel Dipartimento di Astronomia e Astrofisica dell’UC Santa Cruz – descrive alcuni scenari in cui può avvenire la produzione di ossigeno atmosferico non biologico e indica come riconoscerlo e distinguerlo.

Il gruppo ha utilizzato dei modelli computazionali in cui sono state simulate le condizioni su alcuni tipi di pianeti rocciosi, dalla loro formazione sino al completo raffreddamento superficiale nel corso di alcuni miliardi di anni. Variando la composizione iniziale degli elementi volatili, i ricercatori hanno ottenuto una gamma sorprendente ampia di risultati in cui si forma ossigeno molecolare in atmosferica.

È interessante dapprima notare come tutti i modelli che utilizzano le specie chimiche presenti nella primordiale atmosfera terrestre, con l’intervento degli esseri viventi, portino sempre alla produzione di ossigeno. Ciononostante, per via della possibile produzione abiotica, l’ossigeno non può essere considerato un gas affidabile e tanto meno definitivo come biomarcatore.

Ad esempio, l’ossigeno non biologico può accumularsi in un’esoatmosfera quando la luce ultravioletta della sua stella scinde in idrogeno e ossigeno le molecole di acqua presenti negli strati superiori. Per un pianeta roccioso di massa terrestre, l’idrogeno sfugge e si disperde presto nello spazio, mentre il più pesante ossigeno è trattenuto dalla gravità. Altri processi possono invece rimuoverlo dando l’impressione che non ce ne sia a sufficienza. Ad esempio, il monossido di carbonio e l’idrogeno, emessi dalle rocce magmatiche, possono reagire con l’ossigeno atmosferico così come può essere catturato in altre reazioni.

Le cose non vanno bene con i pianeti troppo ricchi di acqua poiché un oceano profondo, a causa della pressione esercitata da chilometri di acqua sulla crosta, bloccherebbe efficacemente l’attività geologica e tutti quei processi che portano allo scioglimento o erosione delle rocce in grado di assorbire l’ossigeno.

Al contrario, quando il pianeta inizia con una quantità relativamente piccola di acqua, il magma fuso in superficie può raffreddarsi rapidamente mentre l’acqua rimane come vapore in atmosfera. Quest’atmosfera umida raggiunge anche gli strati superiori, esposti maggiormente alle radiazioni ionizzanti, quindi le molecole si scindono, con l’ossigeno che viene trattenuto e l’idrogeno perso.

Sul nostro pianeta, dopo la condensazione dell’acqua in superficie, i tassi di fuga rimasero bassi. Questo favorì il mantenimento di un’atmosfera ricca di vapore, dopo la completa solidificazione, per circa un milione di anni in cui l’ossigeno ebbe modo di concentrarsi in atmosfera per scissione e senza che ci fossero estese superfici di roccia fusa in grado di consumarlo per interazione con l’idrogeno emergente da esse.

Perciò un terzo scenario ipotizza un pianeta come la Terra ma con un rapporto più elevato tra anidride carbonica e acqua. Tale situazione produce un effetto serra a cascata che renderà l’ambiente troppo caldo per permettere all’acqua di condensarsi e precipitare in superficie. Tale scenario ricorda da vicino quanto si pensa sia avvenuto su Venere, inizialmente molto simile alla Terra. In questo studio, per la prima volta, vengono tenuti in considerazione gli effetti riconducibili all’evoluzione geochimica e termica del mantello e nella crosta di un pianeta roccioso nonché le conseguenti interazioni con la sua atmosfera.

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Informazioni su Giuseppe Donatiello 351 Articoli
Nato nel 1967, astrofilo da sempre. Interessato a tutti gli aspetti dell'astronomia, ha maturato una predilezione per il deep-sky, in particolare verso i temi riguardanti il Gruppo Locale e l'Universo Locale. Partecipa allo studio dei flussi stellari in galassie simili alla Via Lattea mediante tecniche di deep-imaging. Ha scoperto sei galassie nane vicine: Donatiello I (2016), Donatiello II, III e IV nel sistema di NGC 253 (2020), Pisces VII (2020) e Pegasus V (2021) nel sistema di M31. Astrofotografo e autore di centinaia di articoli, alcuni con revisione paritaria.