35 anni di Mir

la prima stazione spaziale di terza generazione

Il 20 febbraio del 1986, mentre si avvicinava il tramonto dell’Unione Sovietica, venne lanciato il primo modulo della Mir, prima stazione spaziale di terza generazione e laboratorio spaziale teatro di circa 23 mila esperimenti scientifici.

Il suo obiettivo principale era sviluppare tecnologie per vivere nello spazio, ma oltre agli studi di biologia non mancarono quelli di astronomia, fisica e meteorologia.

La Mir, alba in russo, fu il coronamento del programma Saljut, che introdusse la prima stazione spaziale di prima e seconda generazione – la Saljut 6 infatti aveva due attracchi, permettendo ai suoi inquilini di ricevere rifornimenti e visistatori.Il primo modulo della Mir, molto simile alle stazioni Salyut 6 e 7, aveva a una delle due estremità non 1 attracco ma 5, in modo da poter agganciare su tutti gli assi le navicelle degli ospiti e nuovi componenti della stazione.

I successivi moduli vennero infatti trasportati in orbita e agganciati alla stazione nei 10 anni successivi.

Tuttavia, ben prima di guadagnare la configurazione finale, la stazione accolse diversi equipaggi. L’attuale record di permanenza continuativa nello spazio fu stabilito proprio fra il ‘94 e il ‘95, sulla Mir in costruzione, quando il medico e cosmonauta Valerij Poljakov rimase a bordo per 437 giorni.


Dopo il suo completamento nel 1996, la stazione ricevette sempre meno visite, fino a essere abbandonata nel 2000 e deorbitata nel 2001. Una scelta non facile per la neonata agenzia spaziale russa Roscosmos, ma quasi obbligata visti i diversi problemi tecnici della stazione.

Ad esempio, l’antiquato sistema di comunicazione permetteva il collegamento con la Terra per soli 10 dei 90 minuti di ogni orbita.

Un impedimento notevole, soprattutto quando gli astronauti dovettero affrontare diverse emergenze, come l’incendio innescato dal generatore chimico di ossigeno nel modulo Kvant-1 o il guasto all’apparato primario di produzione d’ossigeno.

Ma la Mir è nota soprattutto per la più pericolosa collisione orbitale della storia: a un anno dal completamento, una navicella cargo Progress urtó il modulo Spektr, che cominciò a perdere aria.

Come se non bastasse, lo scontro mise la stazione in rotazione caotica e ne danneggiò i pannelli solari. Con 23 minuti di aria e i sistemi di supporto vitale affidati alle batterie, gli astronauti riuscirono a sigillare il modulo dal resto della stazione e a fermare la stazione utilizzando i razzi della navicella Soyuz in attracco, salvando la loro vita e una stazione già condannata.


Tuttavia, fu anche grazie ai suoi difetti che la Mir insegnò molto ai russi. Il loro know-how era talmente riconosciuto che persino il regista Michael Bay, nell’americanissimo film Armageddon (1998), fa parlare con accento russo l’unico abitante della stazione spaziale.

Ma a imparare non furono solo i registi.Nei piani del Cremlino, il rifornimento e la costruzione della stazione sarebbero stati possibili con lo spazioplano Buran, una versione sovietica dello Space Shuttle americano.

Tuttavia, dopo un solo volo, il progetto Buran venne abbandonato. La Nasa mise quindi a disposizione il proprio furgone spaziale e la Roscosmos contraccambiò ospitando sette astronauti americani.

Il numero sale però a 44 se si considerano tutti gli americani che hanno attraccato alla Mir. Per assurdo, due in più rispetto ai 42 russi che hanno raggiunto la stazione sovietica, che in totale ospitò 125 astronauti provenienti da 12 nazioni diverse.


Seppur con le sue frizioni, questa collaborazione sarà decisiva per creare sia il clima di cooperazione che le competenze tecniche necessarie per la costruzione dell’opera di ingegno più raffinata mai realizzata dall’uomo: la Stazione Spaziale Internazionale.

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