Una stella spaghettificata da un buco nero

OSSERVATO IL TERRIBILE PASTO, DURATO SEI MESI, IN UNA GALASSIA LONTANA

This illustration depicts a star (in the foreground) experiencing spaghettification as it’s sucked in by a supermassive black hole (in the background) during a ‘tidal disruption event’. In a new study, done with the help of ESO’s Very Large Telescope and ESO’s New Technology Telescope, a team of astronomers found that when a black hole devours a star, it can launch a powerful blast of material outwards.

Nel cuore di una galassia a 215 milioni di anni luce da noi, in direzione della costellazione dell’Eridano, una stella si trova a passare troppo vicina a un buco nero supermassiccio che la attira inesorabilmente verso di sé, disintegrandola con la sua forza gravitazionale e inghiottendone circa metà della sua massa.

Il bagliore di luce prodotto da questa “distruzione mareale” è stato captato e studiato praticamente in tutta la sua evoluzione – durata circa sei mesi – da un team internazionale di ricercatori grazie a vari telescopi da terra e dallo spazio. Alla ricerca hanno partecipato anche Francesca Onori e Sergio Campana, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf).

Quando una stella si avvicina troppo a un buco nero supermassiccio al centro di una galassia la gravitazione del buco nero distrugge la stella, stirandola e creando dei sottili filamenti di materiale stellare. Alcuni di essi durante questo processo, che viene chiamato spaghettificazione, precipitano nel buco nero e rilasciano una notevole quantità di energia, un bagliore luminoso che può essere captato dai nostri strumenti.

Tuttavia, studiare questo tipo di fenomeni è difficile, in quanto l’emissione di radiazione è spesso oscurata da una cortina di polvere e detriti, parte del materiale della stella distrutta che viene proiettato dal buco nero nello spazio circostante.

Il team guidato da Matt Nicholl, della Royal Astronomical Society, presso l’Università di Birmingham, nel Regno Unito, è riuscito a individuare e studiare in dettaglio l’evento, denominato AT2019qiz, grazie alla tempestività della scoperta, avvenuta subito dopo la distruzione della stella.

I dati raccolti dai telescopi Vlt dell’Eso in Cile e dall’osservatorio spaziale Swift della Nasa hanno permesso agli astronomi di seguire il “pasto” del buco nero, osservando anche la cortina di polvere e detriti che si alzava attorno ad esso mentre emetteva un potente flusso di materiale con velocità fino a 10 mila chilometri al secondo.

 “Quando ho letto la stesura preliminare del lavoro, ho compreso che i dati delle osservazioni nei raggi X si potevano spremere di più”, commenta Sergio Campana, ricercatore INAF a Milano. “Così ci siamo messi ad analizzare in maggior dettaglio i dati registrati da Swift. Abbiamo trovato che seppure la luminosità nella banda X di questo evento è una piccola frazione di quella totale, l’emissione è quasi contemporanea a quella nella luce visibile. Questo è indice del fatto che il processo di spaghettificazione della stella porta all’accrescimento rapido di materia sul buco nero centrale. È importante vedere come l’osservazione a diverse lunghezze d’onda riesca a fornirci informazioni complementari sullo stesso fenomeno, come se potessimo guardare la distruzione della stella contemporaneamente con tanti occhi diversi”.

Francesca Onori, ricercatrice ora in forza all’Inaf di Teramo, aggiunge: “Ho contribuito a questo lavoro nella fase di interpretazione delle osservazioni ottiche ottenute con i telescopi dell’Eso. Grazie ad esse siamo stati in grado di seguire praticamente tutta l’evoluzione del fenomeno attraverso l’andamento nel tempo degli spettri ottici. Questa accurata campagna osservativa è stata di fondamentale importanza per ottenere informazioni sulle caratteristiche del materiale stellare in accrescimento su un buco nero supermassiccio, appena la coltre di detriti oscuranti si è dissolta e le elevate velocità del materiale stellare stesso”, e conclude, “L’impressionante mole di dati raccolti ci ha permesso di studiare in dettaglio e per la prima volta il fenomeno di spaghettificazione di una stella fin dalle sue primissime fasi. Un risultato eccezionale che è stato possibile ottenere grazie alla vicinanza della galassia che ha ospitato l’evento e alla rapidità nell’osservare tale fenomeno con tutti gli strumenti a disposizione” (Media-Inaf)

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