
La materia oscura costituisce gran parte della massa dell’Universo ed è il collante che tiene insieme le singole galassie e gli ammassi. Non conosciamo la sua natura, però sappiamo che evita l’interazione elettromagnetica, mentre subisce quella gravitazionale, l’unico mezzo che abbiamo per indagarne le proprietà.
Sin da quando è stata presa coscienza di questa ingombrante e invisibile presenza, sono stati fatti pochi passi avanti, pur sapendo che la materia oscura permea l’Universo e ne condiziona la struttura a grande scala. Deve essercene in abbondanza nelle galassie, altrimenti non si spiegano le loro rotazioni e la loro compattezza.
Ancora di più ne dovremmo trovare negli ammassi di galassie, che possiedono anche migliaia di componenti. Ed è qui che si concentrano le ricerche degli studiosi, poiché gli ammassi di galassie sono il laboratorio naturale in cui indagare l’interazione con la materia ordinaria (quella barionica),che costituisce circa il 5% dell’Universo. È in questa piccola percentuale che c’è tutto quanto osserviamo con gli strumenti che raccolgono radiazioni elettromagnetiche e in essa dobbiamo cercare le risposte per comprendere cosa sia il restante 95%.
Le teorie sono concordi nel ritenere che la materia oscura sia “fredda”, cioè costituita da particelle lente. Tale descrizione è quella che si approssima di più a ciò che osserviamo nell’Universo visibile. Però sembra che manchi qualcosa nelle teorie della materia oscura, in base a osservazioni compiute con il Telescopio Spaziale Hubble (Hst) e con il Very Large Telescope (Vlt) in Cile. Questa parte mancante potrebbe dar conto della discrepanza rilevata tra le osservazioni e le simulazioni al computer su come dovrebbe distribuirsi la materia oscura negli ammassi di galassie.
Per studiare questi ambienti si osserva il comportamento delle galassie in interazione con i propri satelliti che si comportano come sonde negli enormi aloni di materia oscura, oppure si utilizza il fenomeno delle lenti gravitazionali.
Un gruppo in gran parte italiano, in uno studio che vede come primo autore Massimo Meneghetti dell’Inaf-Osservatorio di Bologna, ha utilizzato il metodo delle lenti gravitazionali, trovando che alcune concentrazioni su piccola scala di materia oscura producono effetti di lente dieci volte più intensi rispetto alle previsioni.
Il gruppo è sicuro di questi risultati e fa intendere che manchi qualche elemento nelle simulazioni riguardanti la materia oscura, la cui distribuzione è stata indagata su scale molto piccole, producendone una mappa.
La gravità della materia oscura presente negli ammassi ingrandisce e deforma la luce proveniente da oggetti sullo sfondo molto più distanti, talvolta con effetti drammatici e spettacolari, come gli archi e le immagini multiple di una stessa galassia lontana.
La presenza di concentrazioni di materia oscura su piccola scala nei pressi delle galassie maggiori incrementa livello, tipo e numero di distorsioni registrabili. Il gruppo ha studiato proprio questo, grazie alle immagini ad alta risoluzione della Wide Field Camera 3 e della Advanced Camera for Surveys di Hst. I dati sono stati poi correlati agli spettri presi con il Vlt, ricavando una mappa molto precisa della materia oscura coinvolta negli ammassi di galassie, MACS J1206.2-0847, MACS J0416.1-2403 e Abell S1063.
Le immagini di Hubble hanno rilevato, oltre alle distorsioni maggiori, anche effetti su scala più piccola, sino al centro degli ammassi. I ricercatori ritengono che tali lenti secondarie siano prodotte dalla gravità di dense concentrazioni di materia negli aloni di materia oscura. Le osservazioni spettroscopiche di follow-up hanno permesso di misurare la distanza e di sondare le velocità con cui le stelle si muovono negli aloni, fornendo una stima piuttosto precisa della massa complessiva presente in ogni singola galassia.
Grazie a tali dati, si è potuta costruire una mappa ad alta risoluzione della distribuzione di massa della materia oscura in ciascun ammasso esaminato. Il confronto con i modelli di ammassi di galassie, con massa e distanza simile a quelli veri oggetti dello studio, ha portato alla rilevazione della discrepanza.