Asteroid Day e le sfide della Planetary Defence europea

La mattina del 15 febbraio 2013 l’esplosione di una meteora nei cieli di Celjabinsk, città russa nel sud degli Urali, provocò danni a tremila edifici e il ferimento di oltre milleduecento persone, colpite dai frammenti delle finestre andate in frantumi a causa dell’onda d’urto risultante. L’evento, documentato dai video realizzati dagli smartphone dei testimoni, ancora consultabili online, ebbe una grande eco a livello internazionale, dimostrando come l’impatto cataclismatico di un corpo celeste con la Terra fosse tutt’altro che una possibilità remota e che l’umanità avrebbe potuto incorrere in un destino identico a quello dei dinosauri. È proprio per sensibilizzare la popolazione sui rischi rappresentati da questi oggetti e sulla necessità di sviluppare contromisure adeguate che oggi si celebra l’Asteroid Day, evento nato nel 2014 su iniziativa di ricercatori e artisti, tra cui Brian May, astrofisico e chitarrista dei Queen.                    

Oltre al notevole impatto emotivo sulla popolazione mondiale, quanto accaduto a Celjabinsk non lasciò indifferente neanche la comunità astronomica, incredula e allarmata dal modo in cui l’oggetto responsabile fosse sfuggito alla sua attenzione, in quei giorni rivolta al passaggio ravvicinato di un altro asteroide denominato 2012 DA14. Agli occhi degli esperti, l’avvenimento presentava inoltre profonde similitudini con un episodio di portata decisamente maggiore verificatori sempre in Russia nel 1908, che abbatté decine di milioni di alberi in una località disabitata della Siberia nota come Tunguska , sottolineando quindi l’urgenza di potenziare la rete di monitoraggio degli oggetti astronomici vicini al nostro pianeta e di sviluppare sistemi per la mitigazione del potenziale rischio a essi legato. Da qui la scelta da parte dell’Onu di istituire l’Asteroid Day il 30 giungo, data in cui ricorre il cosiddetto evento di Tunguska.

Nei sette anni trascorsi da quel 15 febbraio 2013, i progressi compiuti nel campo della difesa del nostro pianeta dalla minaccia costituita dagli oggetti astronomici sono stati importanti. Molte agenzie spaziali, consapevoli dei pericoli, hanno stanziato ingenti risorse in attività di monitoraggio dei Near-Earth Object (Neo), corpi celesti del sistema solare la cui orbita potrebbe scontrarsi con quella della Terra. Tra queste c’è anche l’Agenzia Spaziale Europea, che alla fine dello scorso anno ha dato il via a un ambizioso piano di difesa planetaria.

Ian Carnelli dell’Agenzia Spaziale Europea (foto: Esa)

“Il Consiglio ministeriale degli stati membri di Siviglia del 2019”, spiega Ian Carnelli, responsabile della missione Hera dell’Esa, “ha approvato l’implementazione di tre diverse misure legate alla difesa planetaria che rientrano nell’ambito di un programma denominato, appunto, Space Safety. Grazie a questi tre pilastri, che riguardano la realizzazione di telescopi dedicati all’osservazione e alla catalogazione degli asteroidi, il completamento di un centro di controllo per il calcolo delle probabilità di impatto e la caratterizzazione dei Neo, e il lancio di una missione per di validare la tecnica di deviazione di eventuali oggetti in rotta di collisione, l’Esa copre tutti i segmenti che caratterizzano il settore del controllo planetario. Tale decisione è stata tra le più importanti emerse dal congresso, perché finora tutte le attività rivolte alla planetary protection erano condotte in modo frammentario. Adesso siamo invece in possesso di una struttura omogenea, di una road map di lungo periodo e dei fondi necessari.”

Le componenti del programma Space Safety designate al controllo dei Neo e all’elaborazione delle loro traiettorie saranno rispettivamente affidate a una rete di Flyeye, telescopi progettati per la ricerca di questi oggetti e per la rilevazione degli asteroidi destinati a raggiungere la Terra come quello di Celjabinsk, e a un segmento di terra dotato di infrastrutture e software all’avanguardia. Entrambi gli elementi, ancora in attesa di raggiungere la piena operatività, hanno come denominatore comune il nostro Paese. “Oltre al primo Flyeye”, illustra Carnelli, “presto in fase di test presso il centro Geodesia Spaziale dell’Agenzia Spaziale Italiana di Matera, che verrà in seguito installato sul monte Mufara, in Sicilia, è in programma la costruzione di altri due telescopi. L’idea è di installarli in siti differenti per coprire l’intera volta celeste. I dati raccolti dai telescopi saranno poi inviati al centro di controllo già predisposto all’interno del sito italiano dell’Esa a Frascati (Esrin), che diventerà l’interfaccia di sistemi analoghi presenti a livello internazionale” (qui la puntata di Forbes Space Economy dedicata all’argomento). 

L’Esa svolge un ruolo centrale anche nelle iniziative di carattere internazionale legate alla difesa planetaria, contribuendo e offrendo supporto all’International Asteroids Warning Network, la rete che coordina gli sforzi per monitorare gli asteroidi, allo Space Mission Planning Advisory Group, il gruppo dell’Ufficio per gli affari Spaziali delle Nazioni Unite (Unoosa) che gestisce la risposta in caso di crisi imminente. “Tutti i risultati che emergono dall’osservazione e dalla valutazione delle traiettorie fatta in Esrin”, precisa Carnelli, “vengono validati dopo un confronto con i risultati ottenuti dal centro gemello del Jet Propulsion Laboratory della Nasa e pubblicati sulle piattaforme dei due enti. Questi due laboratori hanno inoltre una procedura informativa che consente loro di riferire sulle varie situazioni di emergenza tramite gli organi dell’Onu, anche nelle situazioni in cui una missione di deviazione non sia necessaria, ma che richiedano un’evacuazione della popolazione. Tutto ciò è ovviamente integrato con una serie di attività svolte con le protezioni civili di tutta Europa, che mirano a sviluppare dei piani di sicurezza e prevenzione”.

Nonostante il capillare sistema di monitoraggio che l’Esa si sta apprestando a realizzare, l’unica alternativa percorribile nell’eventualità di un imminente impatto da parte di corpo celeste di grandi dimensioni con la Terra sarebbe quella rappresentata da una missione di deviazione, per cui l’agenzia si sta preparando attraverso la collaborazione Aida (Asteroid Impact and Deflection Assessment), insieme con la Nasa, fornendo una delle due navicelle coinvolte in Hera. Il compito principale di Hera sarà quello di effettuare alcune misurazioni sul corpo scelto come bersaglio, la luna del sistema binario di asteroidi denominato Didymos, per comprendere meglio le conseguenze dell’impatto tra quest’ultimo e la sonda Dart (Double Asteroid Redirection Test) della Nasa, che avverrà in un primo momento, e per calibrare i modelli teorici per la definizione di una missione di deviazione in caso di necessità.

“La prima parte di Aida”, prosegue Carnelli,” prevede il lancio di Dart verso la Luna di Didymos chiamata Dimorphos. La sonda, dal peso approssimativo di circa 900 chilogrammi, decollerà a bordo di un Falcon 9 a luglio del prossimo anno e dovrebbe raggiungere la sua meta a ottobre del 2022. In quel momento il sistema binario di asteroidi si troverà a circa 11 milioni di chilometri dalla Terra, una distanza che consentirà di monitorare l’impatto attraverso i telescopi ottici e di quelli radar. L’impatto avverrà a circa 6 chilometri al secondo e ci aspettiamo una variazione di velocità della luna di circa mezzo millimetro al secondo, una quantità molto piccola che però si traduce in una decina di minuti di variazione del suo periodo orbitale. Protagonista della seconda fase sarà invece Hera, che è attualmente in via di finalizzazione del design e di costruzione degli strumenti. Hera sarà lanciata nel 2024 con un Ariane 6 e raggiungerà Didymos poco dopo Natale 2026 con l’obiettivo di arrivare a velocità relativa nulla e volare intorno al sistema binario per circa sei mesi. Grazie ai rilevatori di cui sarà dotata e ai due cubesat che trasporterà, saremo in grado di effettuare analisi accurate del cratere provocato dall’impatto con Dart e delle caratteristiche morfologiche e strutturali dei due corpi che compongono Didymos. Il gran finale sarà rappresentato da un tentativo di atterraggio sull’asteroide primario per studiarne la superficie”.

Il nostro Paese sarà protagonista anche dello sviluppo e della realizzazione di Hera, il cui costo si aggira intorno ai 290 milioni di euro. “L’Italia”, conclude Carnelli, “è il secondo contributore della missione e fornirà il sistema di propulsione della navicella, la realizzazione del quale è stata affidata ad Avio, e quello di telecomunicazione, che verrà costruito da Thales Alenia Space. Saranno inoltre italiani il sistema energetico, progettato da Ohb Italia, che sfrutterà celle solari di nuova generazione molto efficienti, e uno dei due cubesat”.

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