L’urina come materiale per la costruzione delle basi lunari

Dagli scarti prodotti dagli astronauti a superfluidificante: lo conferma uno studio dell'Esa

Riciclare. È questa una delle regole d’oro dell’esplorazione umana dello spazio. Un dettame, quello del riutilizzo e della rigenerazione dei prodotti di scarto (siano essi organici o no), che oltre a prescrivere un comportamento ecologicamente virtuoso è imprescindibile nella progettazione sostenibile delle missioni e ancor di più nei progetti che puntino alla conquista di altri mondi. Un esempio su tutti è rappresentato da ciò che può essere definito il ciclo dell’acqua a bordo della Stazione spaziale internazionale, dove quasi il 95% di questa preziosa risorsa viene riciclato. Sono questi i presupposti su cui si basa una recente ricerca promossa dall’Agenzia spaziale europea, che ha dimostrato come l’urea, il principale composto presente nell’urina, potrebbe rappresentare un ottimo elemento per la cementificazione dei materiali che verranno impiegati nella costruzione degli insediamenti sulla Luna.

Lo studio, condotto da università italiane, norvegesi e spagnole con la supervisione dei ricercatori del sito olandese dell’Esa, l’Estec, è stato svolto nell’ambito dell’iniziativa Ariadna, meccanismo costituito nel 2004 che mira a favorire lo scambio e lo sviluppo di idee innovative tra l’agenzia e il mondo accademico europeo nel campo della ricerca sulle tecnologie spaziali.

La miscela per costruzioni testata dai ricercatori è composta da urea e geopolimero lunare, un materiale simile al cemento contenente regolite, utilizzata come additivo all’interno delle stampanti 3d e risultata particolarmente adatta per essere modellata. La miscela ha inoltre dato prova di essere molto resistente, tanto da sopportare un peso dieci volte superiore al proprio, e di resistere alle condizioni presenti nello spazio, come il vuoto e le temperature estreme. Caratteristiche imputate dagli scienziati alla capacità dell’urea di sciogliere i legami di idrogeno, e di diminuire così la viscosità dei fluidi, e all’alta concentrazione di minerali di calcio che contraddistinguono quest’ultima.

“La comunità scientifica è particolarmente impressionata dall’elevata robustezza di questa nuova tecnica rispetto ad altri materiali, ma è anche attirata dal fatto che potremmo utilizzare ciò che già si trova sulla Luna”, ha commentato Marlies Arnhof, promotrice e coautrice Esa dello studio.

La scelta di concentrare l’attenzione sull’urea come possibile elemento dell’edilizia lunare non è solo giustificata dalla facilità con cui potrebbe essere ricavata dai rifiuti liquidi generati da un astronauta, ma anche dalla sua disponibilità: oggi è infatti sintetizzata a livello industriale per la produzione di fertilizzanti e prodotti chimici e medici. Il suo utilizzo, combinato alla sua accertata capacità di fluidificare il cemento lunare, consentirebbe di diminuire il fabbisogno di acqua e inciderebbe in maniera considerevole sulla quantità di carichi che sarebbe necessario lanciare da Terra. L’impiego dell’urea rientrerebbe all’interno dell’approccio sostenibile alle risorse lunari – in gergo spaziale, la In-Situ Resource Utilisation –  su cui le maggiori agenzie si stanno concentrando in vista di un ritorno sulla Luna che preveda l’insediamento di basi stabili.

Come accade spesso nella ricerca di nuove soluzioni da adottare nel contesto spaziale, i risultati ottenuti dallo studio potrebbero avere importanti ricadute anche nelle attività terrestri. “L’industria”, ha infatti concluso Marlies Arnhof, “potrebbe trarre beneficio dalle tecniche raffinate per polimeri inorganici resistenti al fuoco e al calorem adatti per la manifattura additive”.

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