Fallen Astronaut: ricordiamo Alfred Worden con le sue parole

Un’intervista all’astronauta dell’Apollo 15, deceduto la sera del 17 marzo

Apollo 15 è stata la missione lunare che ha prodotto i maggiori risultati scientifici dell’intero programma. Mi auguro che ben presto l’America e le altre nazioni riprendano il percorso dell’esplorazione spaziale e della conquista dei pianeti”.Ce lo aveva confermato chi, a quella missione di luglio del 1971, aveva preso parte come membro dell’equipaggio, viaggiando verso la Luna e tornando a Terra alla guida dell’astronave Apollo.

“Al”, come lo chiamavamo confidenzialmente, era partito nel luglio 1971 da Cape Canaveral, Florida, per una delle missioni lunari più spettacolari e complesse. Fu lui il primo essere umano (di soli tre) a compiere una “passeggiata spaziale” non in orbita attorno alla Terra, ma su un tragitto interplanetario.

Worden, che un brutto male ci ha portato via improvvisamente la sera del 17 marzo (ne ha dato l’annuncio la famiglia via Twitter), era nato nel 1932 nel Michigan, e lo scorso autunno era in piena forma, lucido, mai banale e con la sua solita, irresistibile disponibilità.

Ad astra, AI!

Colonnello Worden, Apollo 15 è stata una missione diversa rispetto alle precedenti. Perché?

Era la prima missione di quelle definite di esplorazione lunare a vasto raggio. Avevamo l’astronave Apollo più pesante di tutte quelle inviate in orbita terrestre prima e verso la Luna in seguito. Avevamo un carico scientifico notevole, all’interno della piccola stiva ricavata nel Modulo di servizio. E poi, nel Modulo lunare, portavamo per la prima volta il Lunar Roving Vehicle, la celebre jeep lunare. Anche la zona di allunaggio era particolare: per la prima volta tra le montagne. E l’addestramento è stato molto duro per Dave Scott e Jim Irwin, i miei due compagni di missione scesi sulla superficie selenica.

Il 26 luglio 1971, giorno del lancio. Ci racconta qualche aneddoto?

Prima di indossare gli scafandri, la cosiddetta vestizione, abbiamo donato un campione di sangue al nostro medico, ci hanno tagliato anche i capelli, perché è doveroso essere in ordine.

Poi, quando ti portano con il pullmino alla rampa, sai già che salirai su un ascensore che si arrampica su una torre a tralicci alta come un grattacielo di quaranta piani. Ci siamo già stati, anche per la prova generale di conto alla rovescia, alcuni giorni prima.

Quindi, quando arrivi all’ultimo livello, sulla passerella numero nove, e guardi sotto, be’, è piuttosto impressionante. A me non ha fatto alcun effetto. Ma qualche mio collega ha sofferto di vertigini. Non farò nomi, ovviamene.

D’altra parte, siete partiti con il Saturno 5, il più potente razzo che mai abbia lanciato uomini nello spazio.

Mentre salivamo con l’ascensore in cima al Saturno il giorno del lancio, mi colpì vedere degli enormi lastroni di ghiaccio staccarsi dalle pareti del vettore e cascare verso terra. Era l’effetto del combustibile a temperature molto basse, che formò delle spesse stratificazioni attorno al razzo. Le stesse che poi, nelle immagini, si vedono mentre si distaccano dalle pareti del primo stadio del Saturno. Il lancio fu alle 9:34 ora locale.

Come visse quei momenti?

Il lancio si dimostrò piuttosto docile, non così violento come si potrebbe immaginare. Io controllavo ogni dettaglio del Modulo di comando: c’erano 730 interruttori e molti altri comandi. In due minuti e 44 secondi il primo stadio del vettore aveva bruciato circa 3mila tonnellate di combustibile e ossidante. Certo, era comunque un lancio molto dinamico.

Il terzo stadio ci collocò in orbita terrestre. Dovevamo fare dei controlli generali prima di dirigerci verso la Luna. Potevamo farlo al massimo in sei orbite. Tutto era a posto e ci bastò quindi un’orbita e mezza, come da programma. Dopo tre giorni e mezzo, eccoci all’ingresso in orbita lunare. E quando vidi la Terra così piccola e il traguardo lunare raggiunto, provai un grande senso di rispetto nei confronti del Centro di controllo e di tutti coloro che ci avevano permesso di arrivare al traguardo.

Che cos’aveva la regione di allunaggio di così particolare?

Gli appennini di Hadley sono una zona molto suggestiva, ritenuta di grande importanza da scienziati e planetologi. Riuscivo a notare i dettagli di quell’area anche dagli oblò dell’Apollo. Molto utili furono le mappe realizzate dagli astronauti di Apollo 12, in particolare dal pilota del Modulo di comando, Richard Gordon, che era il comandante di riserva della nostra missione.

Dall’orbita lunare, io focalizzai i miei apparati fotografici sulla regione di Taurus Littrows, dove sarebbe poi sbarcato il Lem dell’Apollo 17. Era una zona rischiosa per allunare, nonché il primo tentativo tra le montagne.

Dave e Jim toccarono la superficie selenica a 27 gradi nord sull’equatore lunare. Il rischio era anche rappresentato dalle forti influenze del campo gravitazionale, che variava. La regione degli appennini di Hadley è antichissima, formata da impatti di meteoriti di grosse dimensioni che hanno scavato crateri enormi: ce ne sono alcuni con un diametro di 800 metri.

E poi, nel viaggio di ritorno, la sua “passeggiata mozzafiato…

Sì, furono 40 minuti molto emozionanti. Avevamo da poco lasciato l’orbita lunare per rientrare verso la Terra. Meraviglioso. Avevo tante cose da fare: dovevo recuperare rullini fotografici montati all’esterno del modulo di servizio e alcuni apparati collocati nella SimBay. Per la prima volta il Modulo di servizio era stato trasformato in una piccola stiva di carico per apparati scientifici. Ci trovavamo a 315mila chilometri dalla Terra e correvamo verso casa a 39mila chilometri orari. Ero molto preso, ma riuscii a godermi lo spettacolo: da una parte vedevo la Luna, dall’altra la Terra come una palla bianca e azzurra sospesa nel cielo nero.

Lo stemma dell’Apollo 15 è stato uno dei più “originali” di tutto il programma. Era l’elemento “italiano” della missione. Può parlarcene?

Era circolare, contornato dai colori bianco, rosso e blu della bandiera statunitense. E poi c’era una vista, dall’orbita lunare, dell’area di Hadley con tre “falchi” stilizzati, uno rosso, uno bianco e uno blu. Il falco era, ed è sempre, il simbolo dell’Aviazione militare statunitense, da cui provenivamo noi tre di Apollo 15. Fu ideato dal nostro caro amico Emilio Pucci, un personaggio straordinario, che prima di diventare sarto e stilista era stato pilota militare e aveva combattuto con i suoi aerei la Seconda guerra mondiale. Con lui non si finiva mai di chiacchierare. Di cosa? Di aeroplani e di donne.

Dopo il rientro sulla Terra, ci racconti di un suo incontro che considera “speciale”.

Al rientro girammo il mondo e incontrammo molte personalità: ministri, capi di stato, governatori. Un incontro davvero speciale fu quello con il Papa, all’epoca Paolo VI. Fu anche un colloquio divertente. Mi vide e mi buttò lì: “Io l’ho già vista da qualche parte”. Poi, dopo aver parlato un po’ con lui, capii che mi aveva visto in un programma per bambini, molto noto negli Stati Uniti in quel periodo.

E la Luna? Ormai è tornata a essere obiettivo prioritario di molte nazioni e agenzia spaziali. Considera giusto ritornarci?

Senza dubbio. In modo diverso a come lo abbiamo fatto noi dell’Apollo e con la cooperazione internazionale. La data del 2024 per il ritorno mi sembra verosimile. Nel frattempo, ci arriveranno i Cinesi. Ne sono convinto.

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