Il campo magnetico terrestre piovve dal mantello

DUE STUDI INDIPENDENTI SEMBRANO AVVALORARE TALE IPOTESI

Earth core structure. Elements of this image furnished by NASA

Ci è stato sempre insegnato che l’interno della Terra sia a strati concentrici ed è così. Un modello semplificato contempla una crosta solida esterna di silicati che galleggia sopra uno spesso mantello molto viscoso che, a sua volta, sovrasta un nucleo esterno composto principalmente di ferro molto fluido con un piccolo nucleo solido al centro.

È nel nucleo della Terra che si genera un vasto campo magnetico che la scherma dalle radiazioni cosmiche in superficie e ne preserva lo strato atmosferico dal vento solare. Senza campo magnetico, probabilmente non ci sarebbe vita sulla Terra, pur trovandosi nella “zona abitabile” del Sistema solare.

Data l’importanza, gli scienziati hanno provato a comprenderne l’origine e l’evoluzione nel corso della storia geologica, per prevederne l’evoluzione futura nonché le implicazioni in chiave esobiologica, dato il gran numero di nuovi mondi che si vanno scoprendo.

Siamo portati a credere che la struttura interna della Terra sia sempre stata la stessa sin dall’inizio, ma potrebbe non essere così: una ricerca dell’Università di Rochester ha provato che il campo magnetico primordiale era più intenso di quello attuale. Questa intensità potrebbe aver favorito il fiorire delle prime forme di vita. In qualche modo – secondo John Tarduno, primo autore dello studio – tale ricerca fornisce importanti indicazioni sulle caratteristiche che deve avere un pianeta abitabile.

Nel meccanismo che conosciamo, l’intenso calore del nucleo solido interno mette in moto dei flussi in quello liquido esterno, generando correnti elettriche attraverso un processo di dinamo che alimenta il campo magnetico. L’efficienza della dinamo terrestre è fortemente condizionata dal calore del nucleo interno, e precedenti ricerche avevano mostrato come il campo magnetico terrestre fosse già attivo almeno 4,2 miliardi di anni fa. Ma l’interno della Terra, secondo gli autori, non è stato sempre uguale, giacché il nucleo interno sembra essere una struttura incredibilmente recente, essendosi formata da appena 565 milioni di anni.

Poiché il nucleo interno non si era ancora formato, il forte campo dei primordi doveva essere alimentato da un meccanismo diverso dall’attuale e lo è stato per la gran parte della storia del pianeta. Un buon meccanismo, in grado di descrivere l’origine del campo magnetico antico, indica come responsabile la precipitazione chimica dell’ossido di magnesio verso il centro della Terra. L’ossido di magnesio potrebbe essersi sciolto a causa dell’estremo calore prodotto nel gigantesco impatto che portò alla formazione della Luna. Mentre l’interno della Terra si raffreddava, l’ossido di magnesio precipitava, provocando moti nel ferro fluido. I ricercatori ritengono che, alla fine, la fonte di ossido di magnesio sia andata esaurita, al punto che l’intensità del campo magnetico sia quasi completamente crollata circa mezzo miliardo di anni fa.

Una ricerca indipendente supporta tale scenario, rivisitando una vecchia teoria riguardante la Terra dei primordi. Nello specifico, i ricercatori Dave Stegman, Leah Ziegler e Nicolas Blanc, hanno fornito nuove stime riguardanti la termodinamica coinvolta nella generazione del campo magnetico primitivo, in particolare nella porzione liquida del mantello, stimando per quanto tempo sia stata disponibile. Dallo studio emerge che durante la prima metà della storia geologica, il terzo inferiore del mantello terrestre sia stato completamente fuso e lo chiamano “oceano di magma basale”. Questa teoria mostra come quella porzione del mantello inferiore possa aver avuto la capacità di produrre e sostenere un efficiente campo magnetico, più di quanto faccia attualmente il nucleo.

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Informazioni su Giuseppe Donatiello 354 Articoli
Nato nel 1967, astrofilo da sempre. Interessato a tutti gli aspetti dell'astronomia, ha maturato una predilezione per il deep-sky, in particolare verso i temi riguardanti il Gruppo Locale e l'Universo Locale. Partecipa allo studio dei flussi stellari in galassie simili alla Via Lattea mediante tecniche di deep-imaging. Ha scoperto sei galassie nane vicine: Donatiello I (2016), Donatiello II, III e IV nel sistema di NGC 253 (2020), Pisces VII (2020) e Pegasus V (2021) nel sistema di M31. Astrofotografo e autore di centinaia di articoli, alcuni con revisione paritaria.