Il più antico cratere d’impatto conosciuto

Ha 2,229 miliardi di anni e potrebbe aver scongelato la Terra

il più antico cratere da impatto in Australia

La Terra e la Luna: tanto vicini eppure così diversi. Pur presentando varie analogie, l’aspetto dei due corpi è profondamente diverso. La causa di tale diversità è principalmente imputabile alla presenza di agenti che hanno modellato e ringiovanito la superficie terrestre, mentre la loro assenza ha invece preservato quella selenica, rimasta sostanzialmente immutata per miliardi di anni.

Il principale processo di ringiovanimento sulla Terra è rappresentato dalla tettonica che ha modellato e modificato la crosta terrestre sin dal suo raffreddamento: per questo motivo, trovare rocce e strutture geologiche antichissime è molto raro. I luoghi che meglio si prestano per tali ricerche sono i “cratoni”, le zone più interne e stabili delle varie placche tettoniche, e non è un caso che il maggior numero dei circa 300 crateri meteoritici identificati sia stato rinvenuto proprio in tali zone, come lo scudo canadese e quello australiano.

Tuttavia, pur essendo ambienti geologici adatti alla lunga conservazione delle strutture d’impatto, anche nei cratoni agiscono gli agenti atmosferici che, dopo un certo tempo, tendono a obliterare i crateri in superficie; quindi diventa veramente arduo identificare quelli più vecchi di un miliardo di anni.

Giunge ora notizia dell’accurata datazione di quello che risulta il più antico cratere terrestre conosciuto, almeno 200 milioni di anni più vecchio di quello noto in precedenza. Il cratere australiano Yarrabubba è stato infatti datato a 2,229 miliardi di anni e, secondo lo studio con primo autore Timmons Erickson dello Johnson Space Center della NASA, potrebbe aver avuto anche un ruolo nello scongelamento della Terra dal più antico periodo “Palla di neve” conosciuto, innescando un favorevole effetto serra.

Il cratere, sito nell’entroterra occidentale australiano, era già noto da qualche tempo e se ne sospettava l’antichità, ma datare le strutture è un compito piuttosto complesso, specialmente per quelle più vecchie, poiché i siti tendono a essere velocemente erosi e non più riconoscibili come crateri dalle immagini aeree. Se la presenza di un bacino da impatto si può intuire dalla forma, l’unico criterio veramente valido è comunque costituito dalla presenza di minerali modificati per shock da urto. Identificare cristalli di quarzo e altri minerali sottoposti allo shock, prodotto dal passaggio di un’intensa onda d’urto, rimane lo strumento risolutivo per una definitiva identificazione ed è quello che hanno cercato i ricercatori nella zona di Yarrabubba.

Sarebbe un compito facile se tali materiali si rinvenissero in superficie e fossero macroscopici, come accade per le strutture giovani e piccole, ma per la gran parte dei crateri, i materiali sono sepolti tracce microscopiche, magari sotto chilometri di strati rocciosi. Nello specifico, il gruppo ha cercato le tracce di shock nei microscopici cristalli di zircone e monazite, usando per la datazione la Micro Sonda Ionica ad Alta Risoluzione Sensibile (Shrimp) ad alta tecnologia.

L’identificazione dell’uranio nei campioni ha poi permesso di datare precisamente la struttura, la cui età coincide con buona approssimazione alla fine del congelamento globale. Secondo lo studio, nelle rocce della regione non si rivengono tracce di depositi glaciali per almeno 400 milioni di anni, segno di uno scongelamento duraturo, mentre l’impatto sarebbe avvenuto in un luogo coperto da una spessa coltre.

Il cratere originario esibiva un diametro di circa 70 km e potrebbe aver immesso in atmosfera almeno mezzo trilione di tonnellate di vapore acqueo, che sappiamo essere un ottimo gas serra, da cui sarebbe derivato un riscaldamento globale. Non ci sono prove dell’avvenuto impatto su un terreno coperto da ghiaccio, perciò tali conclusioni sono solo delle ipotesi; ma la datazione della struttura è molto precisa e corretta.

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Informazioni su Giuseppe Donatiello 354 Articoli
Nato nel 1967, astrofilo da sempre. Interessato a tutti gli aspetti dell'astronomia, ha maturato una predilezione per il deep-sky, in particolare verso i temi riguardanti il Gruppo Locale e l'Universo Locale. Partecipa allo studio dei flussi stellari in galassie simili alla Via Lattea mediante tecniche di deep-imaging. Ha scoperto sei galassie nane vicine: Donatiello I (2016), Donatiello II, III e IV nel sistema di NGC 253 (2020), Pisces VII (2020) e Pegasus V (2021) nel sistema di M31. Astrofotografo e autore di centinaia di articoli, alcuni con revisione paritaria.