Quando la Luna perse la bussola

Un nuovo studio fissa la fine del campo magnetico selenico

Al contrario della Terra, la Luna non manifesta un campo magnetico misurabile. Tuttavia, non è stato sempre così e lo denunciano i campioni di roccia riportati a terra dagli astronauti, nei quali è rilevabile un magnetismo residuo, anche piuttosto intenso nella giovane Luna, se confrontato con quello attuale del nostro pianeta. I planetologi ritengono che a generare quel campo magnetico sia stato un efficiente “effetto dinamo” che si è esaurito nel tempo.

Un gruppo di ricercatori del Mit e di altri istituti, guidati da Benjamin Weiss, ha determinato che la “dinamo lunare” si è fermata tra 1,5 e 1 miliardi di anni fa, mediante la datazione di alcuni campioni di rocce. Il loro studio invoca uno specifico meccanismo: la cristallizzazione del nucleo.

La giovane Luna, come la Terra, possedeva un nucleo liquido che, già poco dopo la formazione, è andato progressivamente raffreddandosi, mentre si formavano cristalli di ferro che precipitavano nel centro. Questa precipitazione del fluido metallico caricato elettricamente ha generato il campo magnetico, che si è arrestato con la completa cristallizzazione del nucleo. La prova di tale processo sarebbe nell’intensità del campo magnetico fossile, che risulta progressivamente meno intenso, in linea con la progressiva minore disponibilità di materiale fluido.

Le rocce raccolte nelle missioni Apollo si comportano come degli scrigni preziosi per i planetologi, in quanto conservano memoria delle condizioni magnetiche in cui si sono formate, poiché, mentre si raffreddavano, i loro microscopici granuli si allineavano nella direzione del campo magnetico. Così, queste rocce, rimaste sostanzialmente invariate da allora, conservano una precisa registrazione dell’antico campo magnetico, che è stato stimato in circa 100 microtesla in rocce di 4 miliardi anni fa, un valore circa doppio di quello terrestre attuale.

Il campo magnetico era già sceso a 10 microtesla in rocce di 2,5 miliardi di anni fa. Secondo gli studiosi, tale differenza di intensità è ascrivibile a due distinti meccanismi di produzione del campo magnetico. Sia quelle più antiche sia quelle di età intermedia, sono rocce di tipo effusivo costituito da basalti portati in superficie da enormi flussi di lava.

Più difficili da reperire sono le rocce più giovani, perché l’intenso vulcanismo lunare si è drasticamente fermato intorno a 3 miliardi di anni fa, lasciando il posto alla craterizzazione. Proprio la formazione di grandi crateri ha però fornito il materiale fluido per formare nuove rocce, ed è in queste che sono state trovate tracce di materiale che ha registrato il magnetismo residuo.

Il team ha identificato due campioni formatesi in un enorme impatto circa 1 miliardo di anni fa, la cui analisi suggerisce che si siano formate in un campo magnetico non superiore a 0,1 microtesla. Il team ha quindi determinato l’età di entrambi i campioni utilizzando un’adeguata tecnica di datazione radiometrica.

Weiss afferma che un meccanismo di precessione potrebbe aver alimentato la dinamo molto più efficiente dell’antica Luna, probabilmente indotta dalla attrazione terrestre sul materiale fluido che veniva agitato all’interno del nostro satellite.

Quattro miliardi di anni fa, la Luna era molto più vicina alla Terra e più suscettibile si suoi effetti gravitazionali. Mentre la Luna si allontanava, gli effetti della precessione sono andati scemando, indebolendo la dinamo e il campo magnetico. È probabile che circa 2,5 miliardi di anni fa, la cristallizzazione del nucleo sia diventata il meccanismo dominante con cui la dinamo lunare sia stata alimentata, producendo il campo magnetico da 10 microtesla presente nelle rocce di età intermedia, che continuava a dissiparsi finché il nucleo della Luna non si è completamente cristallizzato in una sfera di circa 240 km di raggio.

Iscriviti alla newsletter

Email: accetto non accetto
Informazioni su Giuseppe Donatiello 351 Articoli
Nato nel 1967, astrofilo da sempre. Interessato a tutti gli aspetti dell'astronomia, ha maturato una predilezione per il deep-sky, in particolare verso i temi riguardanti il Gruppo Locale e l'Universo Locale. Partecipa allo studio dei flussi stellari in galassie simili alla Via Lattea mediante tecniche di deep-imaging. Ha scoperto sei galassie nane vicine: Donatiello I (2016), Donatiello II, III e IV nel sistema di NGC 253 (2020), Pisces VII (2020) e Pegasus V (2021) nel sistema di M31. Astrofotografo e autore di centinaia di articoli, alcuni con revisione paritaria.