Nello spazio con Richard

Come Richard Branson è arrivato a promettere uno "spazio aperto" a tutti. E quanto c'è di vero.

Richard Branson
Richard Branson

L’idea di portare turisti nello spazio con la sua Virgin Galactic gli verrà una trentina d’anni dopo. Adesso, mentre scorre un pomeriggio londinese di fine 1969, Richard Branson ha un’intuizione diversa: guardandosi attorno vede qualcosa che lì, davanti a tutti, nessun’altro nota.
Ha 19 anni ed è appena stato condannato a una multa di sette sterline per aver infranto due leggi di sua Maestà a causa della pubblicità a un servizio di consulenza sessuale, altra sua intuizione, pubblicata sulla rivista Student.
A proposito, anche Student è una sua idea: è un magazine pubblicato dal ’68 e arrivato a ospitare articoli di Mick Jagger e John Lennon senza, in realtà, creare mai un’economia solida. Un’idea avuta negli anni della Stowe, la scuola privata del Buckinghamshire in cui Branson, a causa di una leggera dislessia, racconta lui, era l’ultimo della classe in quasi tutte le materie. “Caro Branson – pare gli avesse detto il preside al momento di congedarlo, nemmeno diplomato, nel ’67 – se non finirai in galera, potresti diventare milionario”.
La galera, Branson, l’aveva appena sfiorata – la farà davvero e per frode qualche anno più tardi –, ma sarebbe stata proprio quell’intuizione nella redazione di Student a renderlo milionario.
Lì, nella confusione del quartier generale della rivista, Branson si accorge che tutti ascoltano i dischi del momento. C’è chi non è disposto a spendere 35 scellini per mangiare, ma ne dà ben volentieri 40 per ascoltare l’ultimo di Bob Dylan, il nuovo degli Stones, il debutto dei Tangerine Dreams. L’idea di una distribuzione discografica per posta arriva come un lampo e gli permette di vendere gli album a prezzi più bassi di qualsiasi catena esistente.
Il nome della nuova impresa glielo suggerisce invece una delle redattrici di “Student”, che intesa l’imminente fine del magazine capisce quanto le idee di Branson inaugurino orizzonti illibati: Virgin Mailing Order debutta sui volantini distribuiti in Oxford Street e fuori dai concerti.
Gli affari decollano a razzo. Ed è solo l’inizio di un impero.
Sarà sempre così, guardandosi intorno e cogliendo i germogli del futuro nell’invisibile ai più, che Branson trasformerà Virgin in un leviatano con divisioni in ogni campo: Virgin Music (l’etichetta dei Sex Pistols, di Peter Gabriel e pure degli Stones), Virgin Books, Virgin Active, la compagnia aerea Virgin Atlantic, quindi Virgin Trains, addirittura Virgin Fuel.
Il gruppo, che a fine anni ’80 comparve fugacemente anche in Borsa, oggi registra un fatturato annuo di 21 miliardi di sterline.
Visto retrospettivamente, lo spazio è solo il frutto più ambizioso del giardino della Virgin. È l’orizzonte naturale di chi, per carattere e talento, sa cogliere le opportunità nascoste in qualsiasi cosa lo circondi: non è lo spazio, in fondo, quello dentro cui siamo immersi tutti?
A Branson l’idea di esportare le proprie attività oltre l’atmosfera venne già nel ’94, quando fondò la Virgin Galactic Airways, ma fu dieci anni dopo, di fronte al volo inaugurale dello spazioplano progettato dall’amico Burt Rutan, lo SpaceShipOne, che il sogno si fece più concreto. Come spesso gli è capitato, a stimolarlo non furono ragioni strettamente economiche: per il fondatore di Virgin Galactic il cosmo non è che la destinazione obbligatoria dell’Uomo – “credo che il monopolio statale dello spazio rappresentasse un pericolo, non il vantaggio propagandato” dice lui.
Complice l’ammirazione per Stephen Hawking, che nel 2007 dichiarò di voler andare oltre l’atmosfera e di volerlo fare con Branson, Virgin Galactic è la realtà che per prima ha promesso di portare turisti oltre la linea di Karman, quella a 100 chilometri dalla superficie terrestre che trasforma in astronauta chi la oltrepassa. “Rendere accessibile a tutti lo spazio per migliorare il mondo” risponde Branson a chi gli chiede quale sia lo scopo della sua impresa galattica. Perché al di là del romanticismo, il magnate inglese ha intuito fra i primi che la space economy sarebbe stata rivoluzionata dalla progressiva diminuzione del costo dei lanci e da un nuovo approccio al rischio, preso di peso dalla Silicon Valley. Non è un caso che il pur tragico incidente del 31 ottobre 2014, quando durante un test di SpaceShipTwo perse la vita uno dei due piloti, Michaes Alsbury, sia stato solo un rallentamento.
È il tipico approccio Branson: da allora Virgin ha effettuato con successo altri lanci e portato nello spazio, lo scorso 22 febbraio, anche la prima donna a farlo su un volo commerciale, l’istruttrice di astronauti Beth Moses.
Non che il business della compagnia sia solo ludico. Lo conferma l’accordo, siglato a inizio ottobre all’ambasciata italiana di Washington, fra Virgin e l’Aeronautica militare, che nel 2020 darà la possibilità a tre ricercatori italiani di condurre esperimenti durante un volo suborbitale (esperimenti in fase di progetto con il Cnr). È la prima volta che un dipartimento governativo finanzia un volo umano a scopo di ricerca scientifica su un veicolo spaziale commerciale. Ed è un ennesimo cambio di paradigma, che smentisce chi credeva che i viaggi promessi da Branson fossero solo una gita per miliardari eccentrici (che comunque, in 600, hanno già acquistato i biglietti a 200mila dollari l’uno e che, in 3.000, affollano la lista di attesa). Come spiegato nelle pagine seguenti dagli altri partner italiani di Virgin, Sitael (pag. 28) e Altec (pag. 26), lo sfruttamento commerciale dell’orbita bassa potrebbe aprire il campo a una varietà di sperimentazioni in microgravità finora impensabile. Consentendole anche ad aziende prima escluse dall’attività oltre l’atmosfera e, chissà, aprendo una nuova era dei voli civili.
Perché andare nello spazio è di certo un sogno non limitato a quei 500 e rotti che l’hanno già fatto.
È un’opportunità scovata in quel che ci circonda. Letteralmente. Pura intuizione Branson.

Articolo tratto dal primo numero di COSMO. Per abbonarti clicca qui

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